Così mi ricordo il mio rapporto con la musica e lo studio del contrabbasso, momenti di estasi con cadute agli inferi nella fatica di mantenere una esistenza nel contesto provinciale. Il suono apre una dimensione in cui le rigidità delle cose si fa incerta, quasi fumosa in modo che la costruzione di una idea diventa novità, la plasticità del mondo si rende malleabile e tutto diventa possibile. Il suono profondo pizzicato della corda è un lento dondolio danzante in un ipotetico locale noir d’altri tempi, con la cantante dalla voce roca che racconta i tuoi versi spingendoli con forza nelle falene emozionali degli stomaci astanti.
Quante notti trascorse in questo sogno, abbracciato allo strumento seguendo la maniaca ricerca della perfezione nella pressione delle dita senza sforzo da parte dei muscoli, tirare l’arco senza usare il braccio ma solo con la forza di gravità. La stanza studio con la porta sul cortile, è stato per anni pertugio aperto verso il modo di fuori, ogni rumore della natura, pioggia, vento, richiami degli animali hanno costruito e plasmato i suoni della poesia.
La diteggiatura scritta in matita compare come una mappa: uno, tre quattro fino alla svolta con il pollice al capotasto deformato dal callo. Il dialogo con il suono si fa stringente, sudato nella fatica di penetrazione del meglio della vibrazione, dialoghi d’amore evocati dal modo minore della sequenza della scala.