Nel sole d’inverno tra sbadigli e vapore dalla cucina semi buia si consuma una azione delittuosa, senza pietà viene dilaniata carne e arterie in un crescendo di crudeltà di cui l’uomo è il responsabile. L’atto criminale; meditato nell’ombra, in giornate mistificate da sorrisi, mentre nella penombra del retroscena semi conscio, il costrutto del male si compie. Sono piccoli fatti quotidiani imperlati con pazienza sul filo dell’odio, banalità in cui lo sguardo verso la donna scade a cosa tra le cose. La violenza espressa è una costruzione interna nel divario dell’incomprensione emotiva in cui da semplici umani si diventa vittime e carnefici.
Parla il boia:”vivo sorridendo con rumore dall’età in cui ho capito che potevo essere ferito da uno sguardo sbieco da donna, da quando in disparte ho potuto assistere a discorsi spezzettati, non rivolti a me, l’escluso. Camminando lesto per strada ho imparato l’andatura del chi sa dove andare, lo sguardo dell’indaffarato con impegni cadenzati. Ho imparato l’arte del vedere nelle finestre altrui sostituendomi ad i personaggi nella scena. Così ho appreso il possesso, qualsiasi cosa che viene alla mia portata di mano è mia e solo mia”. Risponde la donna Silente:”il sogno di una stabilità con l’uomo per la vita, nella casa sicura in cui crescere i figli. Il sogno d’essere donna riconosciuta come tale dagli uomini, questo assillo fin da piccola in cui per le femmine l’essere donna passa dall’occhio maschile, e non ci sono cazzi per aggirare lo scoglio, inadeguata se non guardata come donna, e tutto il lavoro e lo sbattimento che gli va dietro nell’apparire Tale”.
Boia:”il potere è una questione di strategia, nel mondo le cose sono fatte per essere prese, non c’è spazio per compatire il perdente. Quando da piccolo il margine era la modalità di sopravvivenza dagli spavaldi, l’astuzia e il mimetismo sono diventati la necessità di sopravvivenza”. Silente:”ho sempre creduto che gli altri condividessero le emozioni senza bisogno di annegare nella disperazione per muovere a pietà gli animi altrui, ma la sordità sentimentale è più diffusa di ciò che il comportamento quotidiano dissimula”.
Alla fine la morte ha chiuso il cerchio delle reciproche rivalse sull’esistenza condannando in modo implacabile il senso delle proprie virtù. Resta un ricordo come tentativo di affermazione del sogno tra possesso e posseduto intransigente nel gioco dell’esistenza. La paura accompagna questi momenti di ombra in cui le parole rivelano sventura, nelle vie d’accesso ad i locali si ergono sbarramenti contro ogni possibilità d’incontro. La peste ha velato i cieli nella violenza in cui le cose sono oggetti da tenere a costo della vita. Non sempre le nuvole sono state scure, a volte nei millenni lo sgombro cielo primaverile ha mostrato la compassione; le parole sono diventate poesia e con essa la musica. Gli amanti hanno ingaggiato danze ed il cuore ha pulsato con il ritmo della Terra. All’inizio la vita per la morte è anche morte per la vita nel cerchio ermeneutico dell’eterno, ed i tuoi occhi ora che non ci sei più appiano come sole nella cella del Boia, afflitto e sfinito per essere vinto dalla violenza.
Boia:“Io il boia senza speranza alcuna, chiuso nel destino della crudeltà per non essermi opposto alle passioni nere della gelosia e invidia, sono come un cancro che da dentro tinge ogni evento trasformandolo nel colore dell’odio. Chiuso nella cella in isolamento merito il biasimo degli sguardi quando per mansioni percorro i corridoi cintati, il giudizio è la polvere che scuote la mia colpa ed in fondo anche il piacere, godimento nell’umiliazione per emendare le gesta omicide”.
Nel riassunto di questa storia ci sono gli elementi che compongono la tragedia nel suo manifestarsi, i generi della specie che lottano per emergere nel distacco dalla radice comune, l’indifferenziato marasma in cui tutto si amalgama e permane in pace verso la differenziazione in cui lo smembramento invoca da se la radice violenta del divenire. Eppure nel fermo immagine dei momenti si intravede una felicità: una passeggiata mano nella mano con il suono delle fronde scosse dagli uccelli che intorno si aggirano seguendo il lembo del vento; un chiarore improvviso; un’onda del mare nel riverbero dal sole del mattino, ancora prima che le cose del giorno si chiarificano, restando circondate dall’alone della magia del sogno non ancora svanito del tutto.
Oppure il lento osservare del pulsare della pelle quando sopraffatti dal torpore si cade nel lieve sonno della soddisfazione; è il momento in cui il compagno diventa un tutt’uno incarnato; al di la delle mura che chiudono e proteggono dal proprio pensare si smuove un movimento di arti e intenzionalità. Un ponte attraversa potando nella luce i passi fiduciosi di chi lascia l’incanto della sorpresa per abbracciare il solco dei sensi resuscitando l’ideologia della salvezza, e ancora la piazza si adorna delle proclamazioni gridate nella drammaturgia delle emozioni. Il canto politico risuona sulle mura nell’incrostazione celata in anni di pioggia battente, inno come sirene sparate nel vento per germogliare la rivoluzione dei vinti.